sabato 28 febbraio 2015

Presupposti fondamentali della nostra schiavitù emozionale

Siamo schiavi delle nostre emozioni quando queste ultime ci dominano, ci spingono ad agire in modo disfunzionale senza possibilità di scelta cosciente. Quando, in preda ad una emozione, possiamo agire solo in un unico modo, allora è l'emozione che ci controlla. Questa sottile e diffusa forma di schiavitù è resa possibile e sostenuta da alcuni presupposti di base.
Il primo presupposto è la convinzione che le emozioni siano causate da fatti esterni: quella tale situazione mi rende triste, quella persona mi fa arrabbiare, quella circostanza mi spaventa. In realtà questa convinzione ignora il fatto che vi è un passaggio intermedio tra l'evento esterno e la mia emozione, e cioè il mio modo di vedere quell'evento, il mio pensiero a riguardo, la mia interpretazione: è proprio questo che causa l'emozione, non tanto l'evento in sé, come dimostra il fatto che persone diverse reagiscono in modo diverso agli stessi eventi, appunto perché è diverso il significato che attribuiscono loro. Ritenere che l'emozione sia determinata da fatti esterni ci priva di potere e ci condanna a un atteggiamento di passività: se la tal cosa accade io proverò automaticamente quella emozione e se quell'emozione è disfunzionale o indesiderabile tanto peggio per me, non ci posso fare niente. Viceversa vedere che è la nostra interpretazione dell'evento a causare l'emozione ci ridà libertà e potere perché le nostre interpretazioni possono essere consapevolizzate e modificate.
Un secondo presupposto è che le emozioni sono prova di realtà: visto che ho paura allora significa che quella cosa che vedo a terra nella penombra è un serpente, invece può essere benissimo una corda e io posso essermi sbagliato nella mia percezione. Visto che io sono in ansia allora significa che gli altri mi osservano, mi giudicano o hanno una intenzione negativa nei miei confronti, e se qualcuno tenta di spiegarmi che non è così, io gli dico che sbaglia perché io la sento veramente questa ansia. Finché credo questo farò molta fatica ad ammettere la possibilità che io stia operando una serie di distorsioni dei dati percettivi. Il fatto che io mi senta intensamente giudicato non dimostra il fatto che qualcuno mi stia realmente giudicando, piuttosto dice qualcosa del mio modo di vedere il mondo, che può essere verificato, controllato, e al limite smentito. La domanda da porci è: “sono sicuro?” Ricordiamoci che possiamo sempre sbagliare nelle nostre percezioni.
Un terzo presupposto è che non è possibile o che non è giusto decidere di provare una certa emozione; le emozioni “capitano” e basta, se potessimo decidere che emozione provare non saremmo più noi stessi, non saremmo spontanei. Qui incappiamo in una errata concezione della spontaneità per cui chiamiamo spontaneo quello che in realtà è un meccanismo emotivo automatico dettato per lo più da condizionamenti inconsci che abbiamo costruito senza rendercene conto nel corso della nostra storia, anche in risposta a esperienze dolorose. L'autentica spontaneità dovrebbe essere associata a libertà, e sgorgare naturalmente dal nostro vero Sé. I nostri automatismi emotivi allora sono il contrario della spontaneità: quando ne siamo preda siamo meccanici e prevedibili, e agiamo sulla base non della nostra autentica natura, ma di strutture che l'hanno ricoperta.
Grazie all'auto-osservazione e al lavoro personale possiamo diventare sempre più padroni di noi stessi e decidere sempre più deliberatamente in che stati emotivi entrare e in quali no. Possiamo decidere in quali stati vogliamo passare la maggior parte del nostro tempo. Possiamo decidere di uscire da un'emozione negativa quando ci accorgiamo che questa limita pesantemente le nostre potenzialità. Imparando a entrare e uscire deliberatamente dagli stati emotivi decretiamo la fine della nostra schiavitù emozionale.

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