venerdì 4 settembre 2015

Il cammino spirituale e le tre fiere di Dante


Quando Dante nel primo canto dell'inferno esce dalla selva oscura, vede un colle illuminato dalla luce del sole.
Non è difficile vedere come la selva oscura sia simbolo della sofferenza, del dolore che inevitabilmente ogni uomo incontra nella vita. La sofferenza accomuna tutti gli uomini, tanto che per la tradizione buddista essa è la prima nobile verità. Di fronte a questa sofferenza, dalla quale non possiamo scappare, si può reagire in molti modi: ci si può scoraggiare, si può restarne prigionieri continuando a giudicare se stessi o gli altri, si può pensare che la vita è stata ingiusta, si può smettere di crescere e non volersi più rialzare. Oppure si può continuare a camminare nonostante le difficoltà e attraversare questo bosco oscuro e intricato.
Attraversare la sofferenza è anche accettare la sofferenza, con la certezza che in essa o attraverso di essa troveremo qualcosa di buono, il ben ch'io vi trovai, dice Dante. Trovare un bene, un aspetto positivo, in una situazione di sofferenza esistenziale che è stata quasi mortale.
E dunque a un certo punto, appena usciti da questa selva selvaggia e aspra e forte, proprio adesso, e non prima di aver sofferto, vediamo sulla cima della collina la luce del sole, la luce della realizzazione spirituale, la luce di quel principio divino già presente in ogni uomo ma che giace per lo più nascosto e non riconosciuto. Quel principio che se contattato può darci pienezza di vita, pace, gioia e armonia.
Iniziamo a scorgere che là, su quella cima, c'è una possibilità di vita diversa, ne abbiamo una prima visione, una intuizione per lo più fugace ma sufficiente affinché noi, usciti da un lungo periodo di dolore, desideriamo raggiungerla, e così fa Dante, che inizia a salire lungo il pendio. Ma non ci riesce, perché tre animali gli bloccano la strada.
La meta spirituale non può essere raggiunta subito. A parte rarissime eccezioni, è necessario un lungo lavoro personale prima di poter, almeno in parte, realizzare questa realtà che abbiamo iniziato a scorgere. È questo il viaggio che intraprende Dante, un viaggio di conoscenza e trasformazione di se stesso che lo porterà a incontrare e a confrontarsi con la molteplicità degli istinti umani, delle tendenze, delle pulsioni che appartengono a tutta l'umanità e quindi anche a ognuno di noi.
Ogni dannato dell'inferno può rappresentare una nostra parte interna: in ognuno di noi c'è il criminale, il violento, il bugiardo e così via. Avere il coraggio di guardare in faccia questi aspetti è proprio quello che ci consente di superarli, di trasformarli, per arrivare a contattare le parti più evolute di noi stessi, fino a raggiungere la luce del principio divino presente in noi.

Quali sono allora questi tre animali che rappresentano i principali ostacoli allo sviluppo spirituale? 
Il primo è la lonza, che tradizionalmente rappresenta la lussuria. Più in generale si può pensarla come simbolo di impulsi e istinti che costituiscono un ostacolo quando ci dominano. L'uomo che si lascia dominare dagli istinti rinuncia alla sua libertà. Cedere agli istinti, non saperli governare, significa obbedire loro, esserne posseduto, essere sbattuti di qua e di là dalle nostre parti interne meno evolute senza poter trovare una direzione. Significa non saper utilizzare l'energia istintiva, non riuscire, senza reprimerla, a indirizzarla per scopi più alti.
Il secondo animale che blocca il cammino a Dante è un leone che ruggisce rabbioso con la test'alta. È l'orgoglio egocentrico, la superbia, che ci porta a sviluppare un senso di separatezza che è la vera antitesi della spiritualità. Possiamo chiamarlo semplicemente ego, intendendo con questo termine l'identificazione nel proprio io che si percepisce come istanza psichica separata dagli altri esseri, dalla vita e dal divino e quindi costantemente in competizione e in lotta per affermarsi e mantenersi in una posizione di superiorità e potere.
L'ego è un nemico particolarmente insidioso perché capace di adattarsi a ogni nuova acquisizione e di risorgere anche una volta che si pensa di averlo sconfitto. Cosi durante un cammino spirituale non è raro imbattersi in forme sempre più raffinate di ego, che portano a sentirsi superiori per i progressi compiuti e a giudicare chi riteniamo inferiore nel processo di realizzazione. Ma è sempre ego, che si ammanta della facciata della spiritualità o della conoscenza per poter continuare a operare indisturbato. Gesù, nel deserto, viene tentato dal diavolo proprio su questo: “tu che sei il figlio di Dio, dimostra quanto sei grande e avrai il potere e la gloria…”
E infine la lupa, magrissima, affamata, insaziabile, che rappresenta la brama, gli attaccamenti di tutti i tipi e il desiderio senza fine: una volta soddisfatto un desiderio se ne presenta subito un altro. Pensiamo che saremo felici solo se avremo quell'oggetto, quella relazione, se realizzeremo quel progetto, e non ci diamo pace finché non lo otteniamo, ma così ci condanniamo a una perenne infelicità, perché cerchiamo la felicità in tutti i luoghi tranne che nell'unico in cui si trova: il presente.
Rimandiamo costantemente il momento in cui potremmo essere felici e in pace sottoponendolo a condizioni, alla condizione di aver soddisfatto questo o quel desiderio, senza renderci conto che niente potrà mai saziare la lupa, che continuerà a tormentarsi per quello che non ha e vuole ottenere.
Così le tre fiere bloccano il cammino di Dante. Così, finché non avremo acquisito il dominio sui nostri impulsi, finché non avremo abbandonato l'ego, superato la trappola dei desideri e imparato a vivere nel presente, non riusciremo a salire sul colle luminoso della realizzazione del Sé.
Questa ascesa è il frutto di una lavoro interiore che prevede sia il confronto con i nostri aspetti inferiori, sia il prendere contatto con le qualità superiori presenti in noi. Un lavoro di conoscenza e trasformazione che ci porterà a raggiungere la luce che abbiamo intravisto uscendo dalla sofferenza della selva oscura.

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