lunedì 9 ottobre 2017

Conosci te stesso



Cosa significa conoscere se stessi? Sapete che questa frase era scritta sul frontone del tempio di Apollo a Delfi? “Gnothi seauton” per i greci antichi era una massima di importanza fondamentale. Ma perché dovremmo conoscerci? E chi è questo se stessi che dovremmo conoscere? Intanto possiamo chiederci: è uno o sono molti? Se fosse uno sarebbe relativamente facile.
Invece quando vogliamo fare una dieta, andare a correre, meditare ogni giorno, cambiare lavoro, mangiare più sano, a volte non ci riusciamo, perché? Perché siamo molti, e non tutti al nostro interno vogliono le stesse cose: una parte di me vuole andare a correre, un'altra parte è pigra e vuole riposare. Al livello della personalità non c'è un me stesso, ma ce ne sono tanti, e spesso non sono d'accordo.

Questo è il motivo per cui ogni nostra decisione, ogni nostro “si”, ogni nostro impegno è una percentuale. Immaginate che quando siamo di fronte a una scelta qualsiasi, ci sia al nostro interno una votazione. Mia moglie mi chiede: “Ivan, mi aiuti a montare questo armadio?”. C'è una parte di me che vuole, una che non vuole, una che è stanca una che è pigra, una che vuole compiacere, una che si sente sfruttata, una parte accomodante che cerca di far andare bene le cose. Tutte queste parti votano. Mettiamo che vinca il si con il 60% dei voti. A quel punto io dirò di “si”, ma la minoranza, quel 40% che ha votato no, non è che si arrende: si farà sentire in altri modi, cercherà di boicottare, di fare ostruzionismo. Allora potrei iniziare ad esempio a montare l'armadio con il muso lungo, oppure dire di si ma subito iniziare a procrastinare “aspetta solo un attimo che faccio un'ultima cosa, che controllo le mail, che metto a posto la scrivania,...” tutte espressioni delle parti di me che hanno votato no. Mia moglie a questo punto inizierà a scocciarsi e finiremo per litigare.

Molto spesso, visto che non siamo uno, rispondiamo, decidiamo, prendiamo impegni mentre siamo identificati con la parte di noi che in quel momento per vari motivi è sul proscenio della nostra vita psichica. Poi quella parte che si è presa l'impegno va dietro le quinte e al suo posto ne arriva un'altra che non ha nessuna intenzione di rispettare un impegno che a tutti gli effetti non si è presa.
Schizofrenia? Si, ma niente di patologico: normale schizofrenia della vita quotidiana.

Un esercizio utile è quello di fare un inventario delle proprie parti interne, dare un nome ad ognuna di esse, iniziare ad osservarle, a comprendere le loro motivazioni. Ad esempio potremmo scoprire dentro di noi personaggi come il rispettabile, il bastian contrario, il saggio formatore, il buono, l'insopportabile pidocchio, il sarcastico saputello, il formalista, ognuno con un suo modo di pensare, una sua visione del mondo, un repertorio preciso di emozioni, atteggiamenti e stati fisici.
Conoscere se stessi in questo caso diventa conoscere un buon numero di queste parti di noi. E poi riconoscerle, sorprenderle nella vita quotidiana, accorgersi quando escono allo scoperto, quando tendiamo a identificarci con loro, dimenticando tutto il resto che siamo. Solo questa semplice mossa ci dona un enorme margine di libertà, ci permette di diventare registi della nostra vita, anzichè attori inconsapevoli.

Adesso vi parlo un po' dell'inconscio, perché il conosci te stesso comprende sia la conoscenza degli aspetti consci, cioè di quello che sappiamo di noi stessi, sia degli aspetti inconsci. E come facciamo a conoscere l'inconscio, cioè quello che non sappiamo di noi? Appunto, non possiamo, almeno finché resta inconscio. Ma fortunatamente i confini tra conscio e inconscio sono permeabili.
Anche se Freud ha scoperto l'inconscio più di cento anni fa, e prima di lui non sono mancati poeti e filosofi che ne hanno parlato, noi per lo più ci comportiamo come se l'inconscio non esistesse. Ingenuamente siamo portati a pensare di poter conoscere tutto di noi con la mente, il ragionamento, la memoria. Ma non è così. Pensate che qualcuno afferma che il conscio è solo il 5% della nostra psiche, e la prospettiva mi sembra già ottimistica. Come se la nostra psiche fosse un grande palazzo a più piani e noi conoscessimo solo l'ingresso.

Vi racconto una storia. Sapete cos'è un comando post-ipnotico? È un ordine che l'ipnotista dà al paziente mentre quest'ultimo si trova sotto ipnosi. Quando il paziente si risveglia si ritrova a fare quello che gli ha ordinato l'ipnotista, senza ovviamente ricordare nulla.
Sigmund Freud a poco più di 30 anni andò a studiare l'ipnosi dal dottor Bernheim a Nancy, ed assistette a un esperimento che lo impressionò molto. Il dottore ordinò a un paziente in ipnosi che appena uscito dalla stanza avrebbe aperto un ombrello. Quindi risvegliò il soggetto che, senza ricordare niente, usci dalla stanza e aprì il primo ombrello che trovò. Il dottore gli chiese allora perché avesse aperto un ombrello. Sapete cosa rispose il paziente?
Non potendo sapere il vero motivo per cui lo faceva, perché il comando ipnotico era stato dato a livello inconscio, non disse semplicemente “non lo so”, ma disse qualcosa come “volevo vedere se funzionava”, oppure “volevo vedere di che colore era”, ovvero trovò una motivazione plausibile per la sua azione. Plausibile ma completamente inventata.

Cosa ci fa vedere questa storia? Che siamo mossi da forze che non conosciamo, e poi razionalizziamo il nostro comportamento con spiegazioni arbitrarie. Ignoriamo le vere motivazioni per cui facciamo quello che facciamo.
Ma lasciamo stare l'ipnosi, e occupiamoci dell'ipnosi quotidiana in cui tutti siamo più o meno immersi. Forse ogni tanto qualcuno di noi si arrabbia con la moglie, il marito o i figli? Ci arrabbiamo naturalmente per qualcosa che lui o lei dice o fa. E se qualcuno ci chiedesse dopo un po' perché ci siamo arrabbiati noi saremmo in grado di dire una serie di motivi per cui questo è successo: “lui ha fatto così, lui ha detto così, mi ha guardato così,...”
Ma se andiamo un po' più in profondità possiamo vedere che ci siamo arrabbiati perché quello che ha detto o fatto la persona è andato a toccare un tasto dolente, come una piccola ferita che abbiamo dentro che deriva dalla nostra storia personale. Magari un'altra persona nella stessa situazione avrebbe reagito in tutt'altro modo.
Io ad esempio mi sono accorto di avere una ferita di rispetto e quando percepisco che mia figlia mi manca di rispetto, ovvero quando interpreto il comportamento di mia figlia come una mancanza di rispetto nei miei confronti, mi arrabbio. Quella ferita poi se guardo indietro la ritrovo nella mia storia, e posso individuare una parte di me che ha assoluto bisogno di essere rispettata nel modo in cui lei stessa ha deciso.

Questo è l'inconscio, finché non mi sono guardato dentro, finché non conosco me stesso anche negli aspetti che restano più nascosti, resto inconsapevole delle forze che mi muovono. Se tu mi chiedi perché mi sono arrabbiato con mia figlia, io ti dico che mi sono arrabbiato perché non ha messo a posto la stanza, o perché i bambini devono imparare l'educazione, ecc., non ti dico che mi sono arrabbiato perché ho una ferita di rispetto. Come nella storia dell'ombrello del dottor Bernheim, sono mosso da forze sconosciute, in balia di forze interne che non so nemmeno di avere, che non conosco, eppure mi muovono, mi dominano, mentre io sono convinto che il mio comportamento risponda a scelte coscienti e razionali.

Conoscere se stessi allora significa conoscere la propria molteplicità interna ed arrivare pian piano ad illuminare anche le zone inconsce della psiche. Questa conoscenza ci dona una libertà fondamentale, che non troveremo mai se ci rivolgiamo unicamente fuori di noi: la possibilità di dominare, dirigere e utilizzare le nostre parti interne e le loro energie. Diventare, e questo può essere il compito di una vita, padroni di noi stessi e non farci più guidare dai vari io frammentati che ci abitano.

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